La maledizione di Zhou Bai Den. Ovvero, masochismo per divertimento e profitto.
La maledizione di Zhou Bai
Den.
Ovvero, masochismo per
divertimento e profitto.
Aurelien
Jan
29, 2025
https://aurelien2022.substack.com/p/the-curse-of-zhou-bai-den
Non
sorprenderà sapere che i media francesi sono stati divorati, da circa un mese,
dall'ascesa al potere di Donald Trump: evidentemente, questa ossessione ha
fatto sì che sviluppi probabilmente più importanti, in Cina o in Ucraina o in
Medio Oriente, per non parlare della Francia, abbiano ricevuto meno copertura
di quanto meritassero. Ogni opinionista e scribacchino, alla radio, in TV e su
Internet, sembra voler dire qualcosa, anche se non ha nulla da dire. Molti di
loro hanno difficoltà a pronunciare i nomi anglosassoni e la prima volta che ho
sentito un riferimento a quello che sembrava Zhou Bai Den, ho pensato che i
cinesi si fossero finalmente decisi a comprare l'America.
Ci
sono ovviamente ragioni oggettive per interessarsi alla presidenza degli Stati
Uniti, anche se tra la gente comune in Francia (e, per quanto posso giudicare,
altrove in Europa) il livello di interesse è piuttosto superficiale. Ma le
classi intellettuali, mediatiche e politiche europee sono talmente ossessionate
dalla politica e dalla cultura statunitensi, in patria e all'estero, che spesso
sembrano non avere tempo sufficiente per occuparsi delle crisi politiche e
sociali dei loro Paesi. Inoltre, molto spesso adottano, per giunta in modo
irriflessivo, l'immagine degli Stati Uniti come attore principale del mondo e
parlano di molti problemi e crisi mondiali come se gli Stati Uniti fossero
l'unico attore principale e le loro opinioni fossero sempre giuste. Persino (e
forse soprattutto) i più acerrimi critici della politica statunitense
assecondano il paese nelle sue illusioni di essere una strana potenza
imperiale.
È
strano che sia così e cercherò di spiegarne, almeno in parte, il motivo. In
questo processo, parlerò molto della Gran Bretagna e della Francia, poiché sono
i due Paesi che conosco meglio. I lettori di lunga data sapranno che raramente
parlo direttamente degli Stati Uniti, perché non li conosco particolarmente
bene, né ho una grande empatia con loro, ma dirò comunque qualche parola,
perché il dominio intellettuale degli Stati Uniti sull'Europa, e l'attuale
cedimento intellettuale degli europei di fronte agli Stati Uniti, è in realtà
abbastanza recente, ed è essenzialmente un'interazione tra due culture e due
storie. Ha ben poco a che fare con una cosa banale come la realtà.
Quindi,
non è sempre stato così. Quando sono cresciuto negli anni '60, l'immagine
dell'America nel mondo era generalmente discutibile, se non addirittura
negativa. Le tensioni razziali, le rivolte razziali, gli assassini dei Kennedy
e di Martin Luther King, i Weathermen, la guerra del Vietnam, la Cambogia, le
manifestazioni mondiali contro gli Stati Uniti, Nixon, il Watergate, Gerald
Ford... tutto sembrava rafforzare l'idea di un Paese in profonda crisi.
L'ignominioso fallimento della missione di salvataggio degli ostaggi
statunitensi a Teheran nel 1980 sembrava riassumere una società che aveva perso
la strada e non riusciva a fare nulla, e che non era un modello per il resto
del mondo. Al contrario, questo avveniva alla fine dei "trent'anni
gloriosi", quando l'Europa aveva conosciuto una forte crescita, l'armonia
e l'uguaglianza sociale e la pace internazionale, dando ai leader europei una
fiducia che da allora hanno completamente perso.
Naturalmente,
nell'immagine negativa degli Stati Uniti c'erano dei punti più luminosi,
soprattutto dal punto di vista culturale. La musica aveva Dylan, ovviamente, ma
anche i Doors e i Jefferson Airplane. Hollywood sfornava film decenti,
soprattutto negli anni Settanta, autori come Saul Bellow e John Updike erano in
piena attività, Thomas Pynchon stava scrivendo il suo capolavoro Gravity's
Rainbow e il poeta Robert Lowell era ancora vivo, anche se non scriveva
nulla di interessante. Ma tutto questo era molto in secondo piano. E
naturalmente era già iniziato l'annientamento dei cinema nazionali da parte
delle importazioni hollywoodiane a basso costo, e i programmi televisivi
americani a basso costo avevano iniziato a infestare l'etere, quindi la
transizione di cui parlo non avvenne da un giorno all'altro.
L'ironia
è che il periodo che ho appena descritto è oggi considerato da molti americani
come un'età dell'oro, quando il tenore di vita era più alto, l'economia era più
forte, i livelli di salute e di istruzione erano migliori, la vita culturale
era più ricca e anche la vita politica era meno squallida. Obiettivamente, oggi
gli Stati Uniti dovrebbero avere un'influenza molto minore nel mondo, e
soprattutto in Europa, rispetto a cinquant'anni fa. Eppure è evidente che non è
così, anche se non è ovvio perché dovrebbe essere così. Chi, ad esempio,
vorrebbe imitare le politiche economiche o le pratiche sanitarie statunitensi?
Beh, un numero sorprendente di politici e opinionisti europei, compresi alcuni
esponenti della sinistra nozionistica.
Le
ragioni sono complesse e possono sembrare controintuitive, ma sono
identificabili con un po' di riflessione. E contribuiscono a spiegare lo stesso
dominio intellettuale ad altri livelli: la distruzione totale della cultura
popolare e alta britannica da parte delle importazioni americane a basso costo
e l'americanizzazione del governo e del settore privato sono ormai così
profondamente radicate che le nuove generazioni hanno difficoltà a immaginare
che le cose siano mai state diverse. Ma lo stesso vale anche altrove: sono
poche le aziende e le organizzazioni francesi senza i loro processi e il loro
vocabolario gestionale di stampo anglosassone, i loro indicatori di performance
e la loro ossessione per il risparmio finanziario a breve termine ad ogni costo.
In effetti, sembra esserci una gara informale tra i giovani politici europei
per importare il maggior numero di parole d'ordine inglesi nei loro discorsi.
Da
tempo l'istruzione in Gran Bretagna segue le pratiche americane, che ora si
sono diffuse anche nel resto d'Europa. Sebbene gli studenti di molti Paesi
europei non paghino le tasse, le università hanno comunque scelto di trattarli
come "consumatori" e di assecondare ogni loro capriccio, trattandoli
come bambini. Molti studenti europei vanno anche in scambio negli Stati Uniti e
portano con sé ogni sorta di strane idee. Le università francesi cercano ora di
attrarre studenti stranieri che pagano tasse elevate e che non sono più tenuti
a studiare in francese, né a conoscere la lingua. Questo porta a tentativi
disperati e spesso infruttuosi di fornire l'insegnamento e l'amministrazione in
inglese, e a un sistema accademico che è un compromesso malriuscito tra il
francese e l'americano: quest'ultimo è considerato uno standard internazionale.
Le
conseguenze più ampie dell'americanizzazione dell'istruzione europea includono
l'importazione su larga scala di norme e costumi sociali americani. La politica
identitaria di stampo americano è ora dilagante nelle università francesi e tra
i neolaureati, che si appropriano del loro vocabolario e spesso adottano
semplicemente termini inglesi all'ingrosso. Così, qualche anno fa è apparsa per
un breve periodo un'organizzazione chiamata Black Lives Matter France, che però
non è stata in grado di indicare alcun esempio paragonabile a la vicenda dei
Floyd nel proprio Paese. E sono rari i discorsi pronunciati in questi giorni
sui presunti "problemi razziali" in Francia che non invocano la loro
risoluzione secondo gli insegnamenti di Martin Luther King, come se questo
fosse in qualche modo rilevante. In effetti, si può dire che non c'è una sola
svolta nello spazio delle lamentele degli Stati Uniti che non venga ripresa
immediatamente in Europa.
La
diffusione di queste idee ha contribuito a minare le tradizionali relazioni
sofisticate e rilassate tra i sessi che facevano parte della cultura francese.
Al giorno d'oggi, soprattutto nelle università, viene rigorosamente promulgata
un'immagine spietata dell'aggressività maschile e del vittimismo passivo
femminile, mentre i sessi vengono educati all'odio e alla paura reciproca. Gli
studenti uomini e le studentesse si mescolano sempre meno e sono meno pronti a
stringere relazioni, che ora sono viste come inaccettabilmente pericolose.
Potrei
continuare a lungo, ma mi fermerò qui, perché sarà già evidente che nessuna
delle idee e delle pratiche sociali, politiche, culturali ed economiche
importate dagli Stati Uniti nell'ultima generazione funziona davvero, e molte
non hanno alcun senso in Europa. Per esempio, ho visto per caso una parte di un
programma su TF1, il principale canale commerciale francese, in cui le
aspiranti pop star venivano preparate per il successo. (La maggior parte dei
cantanti imparava, a pappagallo, a cantare in inglese, anche se né loro, né i
loro istruttori, né il loro presunto pubblico in Francia, avrebbero
necessariamente capito di cosa stavano cantando.
Ma
se, come ho indicato, ci sono un numero quasi infinito di esempi, la vera
domanda è: perché? Cercherò di rispondere a questa domanda, ma credo che prima
di iniziare si debba capire che il problema non è la forza americana, ma la
debolezza europea. E mi riferisco alla debolezza culturale e sociale, che può
essere ricondotta in modo abbastanza diretto alla recente esperienza storica
dell'Europa. Dopotutto, nessuno sceglierebbe oggettivamente gli Stati Uniti
come modello da seguire di fronte alle alternative e, anche in termini di cruda
influenza, gli Stati Uniti sono diminuiti come forza politica, militare ed
economica, e continuano a farlo.
Vorrei
offrire quattro spiegazioni parziali per questo stato di cose, non del tutto
distinte tra loro. La prima è la semplice adorazione del potere. Gli Stati
Uniti riescono a mettere in piedi l'immagine di una superpotenza militare ed
economica con sufficiente convinzione da indurre molti creduloni, opinionisti e
politici europei ad assecondare l'idea, nonostante le debolezze dell'esercito e
dell'economia statunitensi siano ampiamente documentate. La convinzione che la
semplice minaccia di un intervento militare da parte degli Stati Uniti sarebbe
stata sufficiente a porre fine alla guerra in Ucraina è stata comune in Europa
per molto tempo e non è ancora del tutto scomparsa. In parte, ciò è dovuto al
bisogno psicologico di rimandare a qualcuno più grande e più forte, anche a
rischio di travisamento o di semplice invenzione di tale status. Dopo tutto, i
leader politici e gli opinionisti europei non hanno prestato alcuna attenzione
alle questioni militari o al mantenimento di una seria capacità di operazioni militari
convenzionali da alcuni decenni a questa parte, e le forze armate europee non
hanno effettivamente alcuna possibilità di giocare il tipo di giochi letali che
si stanno svolgendo in Ucraina. In effetti, la classe politica europea e la
Casta Professionale e Manageriale (PMC) hanno un approccio al conflitto
talmente confuso e contraddittorio, che in qualche modo combina una compiaciuta
superiorità morale con occasionali esplosioni di selvaggia aggressività, che
cercare di fare piani per un uso sensato delle forze armate europee è
impossibile.
Qualsiasi
esperto vi dirà che le forze armate statunitensi non sono in condizioni
migliori in generale, ma sulla carta, e filtrate attraverso le lenti di
Hollywood e di una cultura politica di ottimismo acritico obbligatorio,
sembrano grandi e potenti. E se non possiamo essere forti noi stessi, possiamo
almeno prendere in prestito la forza riflessa dalla nostra associazione con
qualcuno che sembra potente. Se non possiamo essere il bullo della scuola,
possiamo almeno essere l'amico del bullo. Questo culto del potere non è,
ovviamente, il risultato di un'analisi razionale: se lo fosse, le nostre élite
si starebbero informando per imparare velocemente il mandarino, per essere ben
posizionate tra dieci anni. (Il ruolo della pura abitudine e della tradizione, va
aggiunto, è una componente poco studiata delle relazioni internazionali).
La
seconda è la sottomissione e il masochismo, una tendenza che si riscontra in
molte società, e in particolare tra le élite che dubitano di se stesse e odiano
se stesse. C'è una sorta di perverso piacere masochistico nel vedere se stessi,
o il proprio Paese, come deboli e indifesi di fronte a un potere schiacciante.
(È un peccato che Foucault non abbia mai scritto di relazioni internazionali:
la sua esperienza diretta dei club S e M sarebbe preziosa in questo caso).
Negli articoli di politica internazionale, e ancor più nei commenti a tali
articoli, si vedono parole come "vassallo" e "colonia"
attribuite agli Stati europei nel loro rapporto con gli Stati Uniti, ed è
chiaro che c'è chi trae una sorta di brivido masochistico dal presentare le
cose in questo modo. Naturalmente significa anche non dover mai chiedere scusa:
le proprie leadership non sono responsabili di nulla, perché sono completamente
asservite a un altro Paese, ed è colpa del Big Boy, non vostra.
E
ogni masochista o ogni sottomesso ha bisogno di una figura dominante a cui
essere sottomesso (o almeno mi dicono che le cose funzionano così). Gli Stati
Uniti, con il loro sbandierato, seppur fragile, senso di superiorità e
onnipotenza, si adattano mirabilmente alla metafora, anche se la realtà è più
sfumata. Ora, in questa realtà, e come i funzionari statunitensi purtroppo
confermeranno, gli Stati Uniti sono manipolati senza sosta in tutto il mondo da
culture politiche più subdole e spietate di quelle che si trovano a Washington,
e dove il politico americano medio sarebbe morto in quindici giorni. Non che
sembri avere importanza.
Spesso,
l'apparente gerarchia del dominio si inverte: un buon esempio storico è il
Vietnam del Sud, dove Washington finì per essere, negli anni successivi, poco
più che un apologeta di un regime corrotto e brutale, perché aveva investito
troppo in esso per potersi ritirare. Un analogo recente è l'Afghanistan, dove
il regime installato dagli Stati Uniti se l'è cavata con un vero e proprio
omicidio, senza ritorsioni o critiche serie. Mentre scrivo, sembra che le
truppe ruandesi - i prussiani d'Africa - stiano entrando apertamente nella RDC
orientale per conquistare la città di Goma e controllare definitivamente le
ricchezze minerarie della regione, nonostante i ripetuti e infruttuosi appelli
degli Stati Uniti (e di Gran Bretagna e Francia) a non farlo. Ma l'emprise
dello spietato regime di Kigali è così completo, e così esperto nello sfruttare
i terribili eventi del 1994, che è riuscito ad attorcigliare l'Occidente
intorno alle proprie dita. (In effetti, il fatto che il Presidente Clinton
abbia implorato il perdono di una brutale dittatura militare per eventi in cui
gli Stati Uniti non erano coinvolti, all'inizio del fantomatico periodo di
egemonia statunitense, è stato di per sé istruttivo). E chiaramente non siamo
alla fine della tragica farsa di un manipolo di fanatici sionisti che
controllano il futuro politico di Netanyahu e che controllano anche la politica
statunitense nella regione.
Ma
in un certo senso non importa, perché è l'apparenza che conta, come spesso
accade in politica. C'è una felice(?) coincidenza tra il desiderio delle élite
statunitensi di fare la dominatrice e quello delle élite europee di fare le
sottomesse. Naturalmente, questo significa che la gente comune da entrambe le
parti viene esclusa, ma questa è la politica per voi.
Il
terzo, su un piano molto più pratico, è una questione di economie e vantaggi di
scala. Nonostante il fatto che l'attuale classe politica europea sia prodotta
all'ingrosso in una fabbrica da qualche parte nel sottosuolo della
Transilvania, i Paesi che rappresentano rimangono molto diversi tra loro e
persino molto diversi all'interno di ciascuno di essi, nel caso di alcuni degli
Stati più grandi. Il problema perenne dell'Europa non è la mancanza di
coordinamento, per quanto da Bruxelles possano uscire irritanti rapporti su
questo tema, ma piuttosto la mancanza di identità e di interessi comuni. Il
tentativo di creare un'"Europa" derattizzata, de-culturizzata e
globalizzante, che è stato il progetto di Bruxelles negli ultimi trent'anni, in
realtà peggiora le cose, anziché migliorarle, perché cerca deliberatamente di
seppellire queste differenze. Un'unica nazione, con un unico interesse
nazionale, è sempre destinata a dominare il confronto, e più grande è questa
nazione, più facile è il compito. Inoltre, non mancheranno occasioni in cui le
singole nazioni europee riterranno nel loro interesse schierarsi dalla parte
degli Stati Uniti: per decenni, la NATO e gli Stati Uniti hanno funzionato da
contrapposizione al potere di Francia e Germania per le nazioni europee più
piccole.
Lo
stesso vale a livello culturale. La globalizzazione ha avuto l'effetto di
eliminare qualsiasi regola, cioè il più grande e il più forte domineranno. Le
dimensioni del mercato culturale interno degli Stati Uniti sono sempre state
tali da rendere i suoi prodotti poco costosi e da poter essere scaricati
facilmente. Ma questo non sarebbe stato un problema senza la liberalizzazione
della televisione in Europa negli anni '80, che ha prodotto orde di nuovi
canali affamati e avidi alla ricerca dei programmi più economici possibili per
riempire gli spazi vuoti tra le pubblicità. L'economia del cinema è stata
simile: se il cinema francese sta vivendo una sorta di rinascita in questo
momento, a giudicare dal numero di nuovi film che appaiono, questo non è vero
per molti altri Paesi, i cui mercati nazionali semplicemente non sono
abbastanza grandi per competere. Inoltre, naturalmente, l'inglese, che
significa americano, è spesso l'unica lingua che le élite europee hanno in
comune.
Ma
se ci sono ragioni pragmatiche ed economiche per il dominio culturale, ce ne
sono anche di più tenui. In molte culture europee, le importazioni culturali
americane di alto livello sono associate a una visione del mondo più ampia, più
internazionale e più sofisticata. Naturalmente la spazzatura popolare americana
è divorata dai proletari, come in ogni paese, ma il prestigio deriva
dall'abbonamento a più canali televisivi americani a pagamento che la gente
comune spesso non può permettersi. Di conseguenza, le conversazioni a pranzo
tra i PMC europei sono spesso dominate dal numero di canali a cui sono abbonati
e da ciò che hanno visto di recente su Netflix, o più probabilmente da ciò che
sperano di guardare se mai ne avranno il tempo.
Tutto
ciò è strano, perché la migliore cultura statunitense è sempre stata popolare
in Europa. Molti registi americani sono trattati con più riverenza in Europa
che nel loro Paese: non c'è da stupirsi se si considera che nella maggior parte
dei Paesi europei il cinema è ancora considerato una forma d'arte. Le
retrospettive dei grandi film americani vengono organizzate spesso anche nei
cinema di provincia in Francia, e ogni anno si tiene a Deauville il Festival
del Cinema Americano: ogni anno una decina di attori e registi di vengono
premiati per il loro contributo alla carriera. Ma si tratta di un rapporto
culturale sano, non di un rapporto basato su un'irrisione preventiva.
Il
quarto, che spiega in parte almeno i primi due, è l'abisso culturale e storico
che separa gli Stati Uniti dall'Europa. Se è fuorviante parlare di
"Europa", anche in un senso geografico troppo preciso, è
sostanzialmente inutile parlare di "Occidente" come se fosse
un'entità culturale e storica. Anche in "Europa" esistono differenze
fondamentali nelle esperienze nazionali: Polonia e Paesi Bassi, o Svezia e
Spagna, non hanno quasi nessuna esperienza storica e culturale formativa in
comune, una volta che si va oltre i ritagli di cartone del PMC europeo. E
semmai il divario culturale transatlantico si è ampliato (sempre escludendo la
PMC) nelle ultime generazioni. Dopo tutto, la letteratura classica americana si
è ispirata alla tradizione biblica protestante importata dall'Europa (Whitman,
Melville) e successivamente è stata pesantemente influenzata dagli sviluppi
artistici europei (Eliot e Pound su tutti). Il cinema americano è stato
notoriamente creato da immigrati europei, per lo più ebrei, così come la musica
popolare americana, da Gershwin e Berlin, fino ai loro discendenti come Paul
Simon e Bob Dylan. La scienza, la tecnologia e l'ingegneria negli Stati Uniti
devono i loro punti di forza agli immigrati, spesso rifugiati, provenienti
dall'Europa.
Al
giorno d'oggi sembra esserci un vuoto enorme. La maggior parte della cultura
americana di questi tempi sembra essere rivolta agli adolescenti di tutte le
età. Ciò che in passato poteva essere caratterizzato da un genuino ottimismo,
dal "saper fare" e dallo "spirito pionieristico" sembra
essere stato sostituito, almeno per un osservatore esterno, da una sorta di
conformismo allegro e sdolcinato con un sorriso da riccio, una negazione
organizzata di tutta una serie di gravi problemi e una fede infantile obbligatoria
che le difficoltà saranno risolte, solo perché. Al contrario, le voci che
sottolineano l'esistenza di problemi reali e forse terminali vengono spesso
respinte. Questo ha prodotto a sua volta una cultura politica sempre più
adolescenziale, che ha diverse manifestazioni.
Uno
è il tipo di solipsismo in cui gli adolescenti sono soliti ritirarsi: solo io
conto, tutto riguarda me. Un altro è costituito da inutili atti di ribellione e
dalla speranza di scioccare i propri genitori o la loro generazione. La
politica americana assomiglia quindi a una tradizionale cricca scolastica o, al
giorno d'oggi, a un gruppo adolescenziale sui social media, dove l'obiettivo è
essere il ragazzo più figo, o avere le opinioni più estreme e provocatorie e
insultare e prendere in giro chiunque non sia d'accordo con te. L'adolescenza è
un periodo in cui nulla conta e non ci sono conseguenze: I politici americani
possono dire e fare qualsiasi cosa, perché parlano solo tra di loro, e non è
certo che pensino agli effetti sul resto del mondo. In un sistema politico
adolescenziale, narcisistico e incarnato come questo, riflettevo, il resto del
mondo è solo un gruppo di pressione, dietro all'industria farmaceutica.
Sarebbe
quindi logico fare quello che fanno molti Paesi del mondo: lasciare che gli
americani facciano i loro capricci, fare un po' di rumore e continuare a fare
quello che stavate facendo comunque. È anche vero, d'altra parte, che alcuni
Paesi vedono un valore effettivo nella cooperazione: se vivete in un'area
instabile, ad esempio, una base militare americana nel vostro Paese può essere
un buon deterrente contro i vostri vicini. In molti Paesi i militari
statunitensi sono involontariamente impiegati come scudi umani. E naturalmente
è possibile essere più proattivi, soprattutto se si dispone di denaro o se si
può esercitare pressione in altro modo: ho citato Israele e il Ruanda, ma anche
i sauditi si sono dati molto da fare e hanno avuto successo. (In effetti, mi
sono spesso chiesto perché gli europei, magari insieme ai giapponesi, non
comprino il sistema politico americano e se ne facciano una ragione: un
centinaio di milioni di dollari all'anno sarebbero sufficienti, no?)
Tuttavia,
di fronte a questa incapacità psico-rigida di ammettere la debolezza e
l'errore, e nonostante i molteplici e documentati problemi del Paese e del
sistema, gli Stati europei continuano a indulgere in un atteggiamento di
preventiva soggezione nei confronti degli Stati Uniti che non deriva tanto da
una "debolezza" in senso facile, quanto piuttosto da un senso di
esaurimento storico e culturale. L'Europa ha sempre prodotto più storia e
politica di quanta ne possa consumare, e questa politica è stata
fondamentalmente diversa dall'esempio statunitense. Dopo tutto, quanti
romanzieri americani sono stati sul punto di essere giustiziati per attivismo
politico, come Dostoevskij, per poi essere salvati all'ultimo momento da un
sovrano assoluto? E quanti lettori americani dell'Ulisse di Joyce
avrebbero capito il lamento di Stephen Daedalus: "La storia è un incubo
dal quale sto cercando di svegliarmi". Anche molti altri europei lo
pensavano: molti lo pensano ancora.
Se
prendiamo come punto di partenza la fine della guerra civile americana nel
1865, in cosa consiste la storia europea da allora in poi? Beh, un elenco molto
selettivo della generazione successiva includerebbe la guerra franco-prussiana
e la sanguinosa soppressione della Comune, la breve Prima Repubblica in Spagna,
la guerra russo-turca, la violenta lotta tra Chiesa e Stato in Francia,
l'affare Dreyfus, la guerra greco-turca, l'ondata di omicidi politici e di
attentati da parte degli anarchici e, soprattutto, infinite lotte violente tra
capitale e lavoro, tra nazionalisti e imperi, tra nazionalisti e nazionalisti,
tra autocrati e forze democratiche. Il XX secolo, naturalmente, è stato
peggiore: non solo per la terribile carneficina delle guerre infinite, ma per
la repressione politica, la polizia segreta, la paura pervasiva, le prigioni, i
campi, gli sfollati, le milizie di partito, i processi, le sparizioni, le crisi
politiche, la violenza nelle strade, le famiglie divise dalla religione e dalla
politica.
Quando
scrisse il suo libro Shakespeare nostro contemporaneo (1964), il
grande critico polacco Jan
Kott diede per scontato che la Storia e le opere romane di Shakespeare
descrivessero un mondo di violenza e insicurezza non dissimile dal nostro, e
che tutti i suoi lettori sapessero cosa significasse essere svegliati dalla
polizia segreta nel cuore della notte. I recensori anglosassoni contemporanei
lo derisero gentilmente per l'esagerazione, ma ovviamente tali esperienze erano
nella memoria di quasi tutti gli europei dell'epoca, e in effetti erano ancora
vissute quotidianamente nell'Europa dell'Est e in Spagna e Portogallo. Il
divario tra queste esperienze storiche e quelle degli Stati Uniti è
incolmabile, e ho sempre pensato che parte dei problemi che i britannici
avevano con l'Europa fosse che in realtà erano stati risparmiati dal peggio
della storia europea moderna. (Per completezza, va detto che le società di
molte parti del mondo hanno storie politiche più vicine all'Europa che agli
Stati Uniti: allo stesso modo, la Nuova Zelanda e il Nicaragua non possono
essere trattati allo stesso modo).
È
molto probabile che le due Guerre Mondiali in Europa e le loro immediate
conseguenze abbiano distrutto la fiducia delle élite europee e che questi
effetti siano visibili ancora oggi. La Prima guerra mondiale è stata un
cataclisma al di là di qualsiasi cosa si potesse immaginare : una macchina
inarrestabile che divorava la gioventù dell'Occidente. Non solo produsse crisi
e devastazione per gli anni successivi, ma anche uno shock psichico traumatico
da cui ci volle un decennio per cominciare a riprendersi: la "letteratura
di guerra" - Sassoon, Graves, Remarque, persino Hemingway - risale alla
fine degli anni Venti. E si pensava cupamente che fosse solo un'ouverture di
un'altra guerra, che sarebbe stata la fine della civiltà stessa. Il seguito fu ancora
più psicologicamente devastante, non solo per l'impressionante livello di
distruzione fisica, ma soprattutto per la rivelazione degli abissi a cui gli
esseri umani potevano realmente scendere. Per quanto gli Alleati avessero a
lungo considerato di combattere il Male assoluto, fu comunque uno shock
rendersi conto che per il regime nazista le vite dei non ariani non valevano
semplicemente nulla: erano beni di consumo, lavorati fino alla morte se
potevano lavorare, uccisi sommariamente se non potevano, o semplicemente
lasciati morire di freddo e di fame come milioni di prigionieri di guerra
sovietici. Questa constatazione, insieme ai resoconti della barbarie quasi
incredibile della guerra nei Balcani, in Polonia e altrove, fu uno shock
esistenziale per un continente, e per un'élite, che si era considerata
civilizzata.
L'osservazione
, spesso citata, secondo cui l'Europa si trovava "di fronte all'ultimo
stadio della dialettica tra cultura e barbarie: scrivere una poesia dopo
Auschwitz è barbaro, e questo corrode anche la conoscenza che esprime il motivo
per cui oggi è diventato impossibile scrivere poesie", era forse estrema,
ma rappresentava una corrente molto potente di reazione delle élite alla
consapevolezza di ciò che esseri umani come loro erano effettivamente in grado
di fare. La caduta in una nuova era di barbarie poteva essere in qualche modo
evitata dalle nascenti istituzioni europee, rendendo così la guerra
"praticamente impossibile", come auspicava Robert Schuman, ma ciò
non era sufficiente. I motori culturali e politici del conflitto, così come
erano visti dalle élite europee - il nazionalismo, le culture nazionali, la
storia, persino la lingua - dovevano essere soppressi nell'interesse della
pace, per essere sostituiti da un euroconformismo senza caratteristiche, da cui
tutto ciò che era controverso era stato chirurgicamente eliminato. Con il
passare delle generazioni e il progressivo affievolirsi della fiducia politica
degli anni gloriosi, agli studenti europei è stato insegnato a vergognarsi
della propria storia e della propria cultura e a cercare il perdono per il
passato. La forma più popolare di scrittura storica oggi è il debunking, in cui
le care storie nazionali vengono messe in ridicolo. Inutile dire che questo non
ha soddisfatto nessuno e ha portato all'ascesa di quella stessa tendenza
politica di "estrema destra" (cioè sovversiva) che aveva cercato di
sconfiggere.
È
questa l'origine della curiosa situazione in cui l'Europa cerca di interferire
negli affari dei Paesi del mondo senza attingere ai suoi numerosi punti di
forza e alla sua storia particolare. Invece di proclamare il suo status di
unico continente che non ha mai avuto la schiavitù e che si è attivamente
adoperato per porvi fine altrove, invece di parlare del trionfo di uno Stato
laico sulla religione, del diritto universale di voto, dell'introduzione di una
moderna legislazione sociale e del lavoro, della creazione di partiti politici
secondo linee di classe piuttosto che etniche, dell'introduzione
dell'istruzione universale, dell'invenzione dei diritti umani, della crescita
della tolleranza religiosa e di una dozzina di altre cose, gli interventi
europei sono in termini di prescrizioni normative atemporali incruente,
completamente avulse da qualsiasi contesto storico, tranne occasionalmente
quello della vergogna.
In
una situazione del genere, la propria storia e la propria cultura sono un
fardello troppo grande e troppo controverso per essere discusso liberamente. È
molto più facile, quindi, adottare quella di qualcun altro, che non ha subito
il trauma che l'Europa ha conosciuto. Al contrario della storia europea, quella
degli Stati Uniti è tenera e provinciale. Così le pagine dei commenti dei siti
Internet sono piene di dotte discussioni sulla politica e sulla cultura
statunitense tra persone che sono andate in vacanza a Disneyland, ma che
guardano molto la TV statunitense e i siti YouTube.
La
combinazione di un'élite europea colpevole, dubbiosa e sempre più insicura,
cresciuta senza solide basi culturali e storiche, e di un'élite statunitense
solipsistica, narcisistica e attenta a se stessa, che raramente tiene conto del
resto del mondo, pronta a seppellire i fallimenti e programmata per un eterno e
facile ottimismo, crea una situazione estremamente strana: di fatto, le élite
statunitensi fingono di governare il mondo e quelle europee fingono di
crederci. In questo modo tutti, dominanti e sottomessi, sono soddisfatti.
Naturalmente,
ciò crea problemi pratici, poiché la capacità effettiva degli Stati Uniti di
gestire il mondo, invece di fingere di farlo, è limitata, e quindi le
masochistiche élite europee e la PMC devono ricorrere a razionalizzazioni
sempre più bizzarre per rendere possibile tale convinzione. Così all'inizio, a
quanto pare, il Grande Piano di sempre era quello di intrappolare la Russia in
una guerra con l'Ucraina che avrebbe perso rapidamente, consentendo alle
imprese statunitensi di saccheggiare la Russia. Quando questo non ha
funzionato, si è ipotizzato che l'altro Grande Piano fosse quello di abbattere
rapidamente Putin con sanzioni, dopo di che ecc. Quando questo non ha
funzionato, l'altro grande piano è stato quello di ricostruire le forze armate
ucraine con le eccedenze del Patto di Varsavia e così via. Poi l'altro grande
piano è stato quello di ricostruire le forze armate ucraine con equipaggiamenti
occidentali e così via. E così si è andati avanti, razionalizzando le
successive fasi della sconfitta con la convinzione che ci fosse stato un Grande
Piano (sempre diverso) per tutto il tempo. Che ne dite di una bonanza per
l'industria degli armamenti statunitense? Purtroppo no, perché la maggior parte
delle attrezzature inviate era obsoleta e già sostituita, e comunque la maggior
parte di esse era prodotta in Europa. Ma anche in questo caso, il desiderio
masochistico della PMC europea di essere dominata e di adorare il potere è
rafforzato dal terrore esistenzialista di vivere in un mondo in cui nessuno ha
il controllo, e dalla disperata speranza che qualcuno, chiunque, lo abbia.
Infine,
vale la pena di aggiungere che il senso masochistico di fallimento e
l'impressione di dominio non sono peculiari delle élite PMC europee. È infatti
tipico dei Paesi con sistemi politici falliti e problemi enormi per i quali non
sono disposti ad assumersi la responsabilità. (Esiste anche una variante
minore, specifica degli Stati Uniti, che attribuisce la colpa dei mali del
mondo all'Impero britannico: in generale, infatti, gli americani tendono a
essere molto più ossessionati dall'Impero di quanto lo siano, o lo siano mai
stati, gli inglesi). È qualcosa che si trova spesso negli Stati post-coloniali,
dove i loro sistemi politici sono falliti e i loro leader sono odiati, e dove
gli intellettuali, gli operatori delle ONG e i giornalisti passeranno ore a
spiegarvi amorevolmente quanto siano deboli e indifesi i loro Paesi, e come
tutti i loro politici siano nelle tasche di potenze straniere. (Al contrario,
non si trovano gli stessi discorsi in Paesi post-coloniali piccoli ma di
successo come Singapore).
È
un po' una sorpresa trovare la stessa cosa in Europa, ma credo che, al di là
dei fattori menzionati prima, la spiegazione risieda in parte nell'alienazione
quasi totale della gente comune dai sistemi politici europei e nella
consapevolezza che sia i sistemi che coloro che li gestiscono hanno fallito,
quasi come in alcune ex colonie. In effetti, come ho
suggerito diverse volte, stiamo assistendo a un tipo di politica
precedentemente associata solo ai regimi estrattivi degli Stati post-coloniali
che sta rapidamente diventando la
norma in Occidente. A un certo livello, le élite europee se ne rendono
conto e, a differenza dei loro analoghi statunitensi, non hanno la fiducia
necessaria per sfacciarsene. Non potendo contare sulla fiducia in se stesse,
cercano di prenderla in prestito da qualcun altro. In definitiva, per questa
generazione di politici incapaci e per i loro parassiti, è più accettabile
essere considerati creature di una potenza straniera piuttosto che alzarsi e
assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Un Big Boy l'ha fatto ed è
scappato.
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